È stato il re delle signore, nei loro incontri di chiacchiere e tazze di porcellana.
Il porta pasticcini e vivande, per ospiti da conto.
L’orgogliosa piazzetta delle carte da gioco di uomini e donne; addirittura tavolino da fumo, colmo dei posacenere, che ancora facevano tendenza e non salute minata.
Su di lui sono stati creati e cuciti corredini interi e dedicati, servizi di posateria e porcellana: mia nonna, esibendomene alcuni, ben inamidati, riposti in carta velina, fragranti di effluvi di Lavanda, me li presentava in modo sommesso dicendo: “Questi, sono per il tavolino da tea. Le posate le riconosci: sono più piccole. E le tovagliette: guarda: sia rotonde che quadrate e le quadrate le userai di più, perché andranno anche sul tondo”. Lasciandomi a risolvere problemi geometrici, ancora irrisolti e un’eredità molto poco usata ma molto amata.
Fa parte dei complementi di arredo che hanno la funzione di far appoggiare cose, cibi da compagnia o bevande.
Sta lì servile, ma conscio di avere un’importanza e difatti: “sta”, non vuole spostarsi ovunque, si prende un posto e non lo molla così facilmente. Gli inglesi, non solo nel periodo Vittoriano, ne avevano fatto un’icona. Si trovano ancora splendidi pezzi antichi del mastri di un tempo, anche italiani che possono dialogare in modo molto interessante, con un arredo contemporaneo.
Anche lui nasce nomade.
Forse tutto è di nascita itinerante, nei nostri oggetti d’uso domestico.
Ci si doveva spostare, portandosi dietro le masserizie necessarie alla sopravvivenza, o al buon vivere, che ci si era costruiti o comprati a fatica. Non si abbandonavano le cose, le si teneva da conto.
Testimonianza ne è il tavolino a vassoio di retaggio medio orientale, che ora fa tanto tendenza, ma faceva parte di tutto l’armamentario portato in giro, per allestire una casa provvisoria.
In Oriente ci si è sempre accovacciati per mangiare e anche per sorseggiare solo bevande. Col tempo e le contaminazioni: il tavolo da tea, diventa da salotto e si abbasserà anche in Occidente, appiattendosi, spesso, quasi a terra.
I materiali e gli oggetti usati ora, sono innumerevoli e si sposano e si insinuano spesso tra loro: trasparenti, imbottiti ottomani, bauli, plastiche, marmi, sassi, ex porte, portoni, finestre, resine, rami e ramaglie, botti, mastelli, tappi di sughero, piastrelle, pneumatici da TIR, ho visto di tutto trasformarsi in un tavolo da salotto, negli anni dello sconcerto del voler a tutti i costi in casa: il diverso e lo stupore.
Però ora, dalla forma da tavolo in scala minima ed al posto classico: di fronte al divano, si è deciso che si può fare altro.
Le case si fanno piccole, o non accettano più soluzioni già viste e formali e lui si stravolge e trasforma in: penisola da divano, consolle, segmento aggiuntivo tra una seduta e l’altra e la convivialità si fa rettilinea e continua.
Quindi, si rimane seduti, sdraiati, non ci si alza più a prendere e portare cose, si hanno tutte lì, a portata di un gesto, anche a sottolineare, la quasi immobilità nella quale si vive, davanti alle tecnologie di casa, sempre più nostre serve, delle quali però siamo schiavi senza esserne consci.
Articolo : by Emland [Emanuela Magnani]
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